Tanguy è il  terzo film della rassegna “C’è famiglia…e famiglia” , che verrà proiettatto venerdì 11 novembre, alle ore 21. La visione sarà preceduta da una breve presentazione e terminerà con un commento di chi, del pubblico, vorrà intervenire per dialogare insieme sul film.
Scheda film
Nazione Francia
Regia
Etienne Chatillez
Anno Produzione 2001

Genere

Durata108′

Fotografia

Montaggio

Scenografia

TRAMA

Tanguy Guetz è il figlio che tutti vorrebbero. Tutti, tranne i suoi genitori…

Viva la mamma, affezionata a quel pulcino un po’ cresciuto, che tanto ama gli agi della vita familiare quanto ama gli occhi a mandorla; viva il papà, che tanto ama quell’incredibile figlio al punto da volerlo in grado di conquistarsi la sua indipendenza e la sua libertà. Già, la libertà. E se invece a Tanguy la libertà non interessasse? Se invece la sola idea lo terrorizzasse? Cosa dovrebbero fare due poveri genitori per vedere il loro cucciolo lasciare il caldo abbraccio di mamma e papà? Fino a che punto potrebbero spingersi senza dimenticare il loro amore e perdere la testa? Chatiliez risponde lontano, molto lontano… Senza pretese di utilità sociale, ma movendo da un fenomeno diffusissimo soprattutto nei paesi latini, il film prende i toni di una commedia fresca e leggera, pur non rinunciando a consegnare un prodotto privo di volgarità o di banalità. Semplice ma ben orchestrato, Tanguy risolve brillantemente il problema della credibilità del grottesco nell’incarnazione del personaggio eponimo: egli è tanto comune quanto è “altro”; è francese e latino tanto è cinese. Tanguy risolve i suoi conflitti senza onore (da occidentale), ma con pazienza e temperanza (da orientale); i suoi appetiti sessuali in occidente sono lontani dalla monogamia, perché il suo cuore è in oriente; non sente il bisogno di uno spazio proprio né in Francia né in Cina, ma predilige in ogni modo il calore della famiglia allargata. Ottimamente disegnata è infatti anche la preparazione stessa di Tanguy sul piano linguistico, che è quasi sempre impeccabile, ma non essendo il pulcino madrelingue, egli talvolta viene corretto da una delle sue inaccessibili amanti – in quanto Chatiliez giustamente non ci consente di capire quello che dicono, evitando accuratamente di aggiungere ridicoli sottotitoli. E poi, sarebbe inutile negare che c’è un pezzo di Tanguy in tutti noi…

Tanguy è un giovane brillante, che ha successo in eguale misura con gli studi e con le ragazze, insomma, un individuo realizzato. O quasi: non riesce a staccarsi da mamma e papà, che dal canto loro non vedono l’ora che il “bambino” si levi di torno.
Il film di Chatiliez parte da un assioma della società contemporanea (l’amore assoluto dei genitori per il figlio unico) e, portandolo al parossismo, lo ribalta con intelligenza e ferocia. Lo stereotipo vede il figlio desideroso di lasciare il nido e soffocato da un parentado che lo colma di attenzioni? Qui, il giovane si trova benissimo in famiglia: sono i genitori che non lo sopportano più.
Prima di gridare al puro nonsense comico, consideriamo per un attimo la situazione: Tanguy è certamente un ragazzo affettuoso, ma il suo comportamento dimostra una buona dose di egoismo, del resto assecondata per anni dai genitori, i quali, constatato il risultato delle loro attenzioni, cercano in tutti i modi di disfarsene per ritrovare la solitudine di prima. Fiele puro, dunque, ma preparato in modo irresistibile.
L’idea forse più interessante è quella di dedicare il film non al giovane eponimo, ma alla sventurata coppia che ha creato l’incrocio fra un bebè e un maestro zen: a partire dalla più sfrenata consacrazione al frutto dei loro lombi (“puoi restare con noi tutta la vita”), a un’irritazione sorda e difficile da nascondere (soprattutto per la madre), sino alla decisione di rendere la vita del figlio un inferno, seguiamo Édith e Paul e finiamo per condividerne il punto di vista, anche perché Tanguy non sembra un essere umano. A un certo punto, la situazione sembra risolta, ma, come sempre, tutto muta affinché tutto rimanga identico, solo trasferito a una sufficiente distanza spaziale e temporale, e per giunta “diluito” sia verso il passato sia verso il futuro.
In un caso come questo, sarebbe inutile una regia innovativa o un ardito linguaggio visivo, e Chatiliez ne è consapevole: asseconda il divertente e maligno testo (suo e di Laurent Chouchan) senza consentire battute d’arresto, il che non gli vieta di delineare garbati sottotesti (lo studente insicuro) e di costruire scene del tutto godibili anche indipendentemente dal copione: in una delle prime sequenze, la macchina da presa si muove sinuosa in avanti, chiarendo il senso di un dialogo altrimenti incomprensibile (almeno per i non esperti di lingue orientali).
Padroni assoluti del gioco, com’è naturale, gli attori: Azéma e Dussollier, scatenati, si rubano la scena a vicenda, e Berger ha una faccia da schiaffi che sembra creata per il ruolo.

Stefano Selleri

(12 Gennaio 2001)