Luca Telese presenterà il suo libro il 22 giugno, alle ore 18,30.

Dialoga con lui Giuseppe Cerasa. Intervengono: Alessio D’Amato, Esterino Montino, Padre Massimo Nevola, Serena Sorrentino, Ugo Sposetti, Nicola Zingaretti. Introduce Luana Magionesi.

“I protagonisti di questa storia vengono dalla resistenza: al fascismo, alla violenza, alla fame. Hanno percorso vie diverse: dalle montagne partigiane alle catene di montaggio. Sono arrivati a una medesima destinazione: il Partito comunista italiano. Che a un certo punto delle loro vite si incarna nella figura di un uomo, Enrico Berlinguer.

Questa è la loro storia, intrecciata a quella del loro leader. È fatta di tante vicende pubbliche – dalla primavera di Praga al golpe cileno, dalla rottura con Mosca all’attentato di Sofia – e di altrettante testimonianze private che illuminano vittorie e pericoli, scorci di confidenze e di intimità.

Racconta gli anni al servizio di una missione, per il partito e per il Paese, che univa le famiglie di Berlinguer e dei suoi uomini in una paura fin troppo concreta, come dimostra il tragico destino di Moro e della sua scorta. E si allarga nella foto di gruppo di un popolo che nella stagione breve e folgorante di Berlinguer visse la propria appartenenza politica con un’intensità forse mai più raggiunta.

«Non c’è apologia, e nemmeno agiografia in questo racconto: solo un’asciutta e preziosa esattezza, in cui la normalità di quella classe dirigente, rispetto alla irresponsabile follia di quella presente, sembra davvero un bene rifugio» scrive Luca Telese, che unendo la sua voce a quelle dei testimoni costruisce il racconto corale di una stagione insieme perduta e attualissima.

«Quello emesso dalla scorta di Berlinguer non è il sospiro nostalgico per un passato che non tornerà mai: è il seme di una storia che oggi può far nascere nuovi frutti con il suo esempio. Una, dieci, mille, scelte di vita.»”.

Enrico Berlinguer, la sua scorta e l’epopea di un popolo che parla a noi tutti

di Fabio Luppino huffingtonpost

Il libro di Luca Telese, “La scorta di Enrico”, Solferino.

10 Maggio 2022 Aggiornato 11 Maggio 2022 alle 12:06

Se un pugno chiuso conserva ancora oggi una grande carica evocativa e comunica ai giovani energie radicali positive; se migliaia di ragazzi di vent’anni si iscrivono all’Anpi; se Antonio Gramsci è studiato in tutti i continenti. Se la voglia di cambiare il mondo resta un’utopia di sinistra, intoccabile, questo si deve alla forza delle idee di chi per decenni ha rappresentato l’orizzonte di conquiste sociali e civili nel nostro Paese: il Pci. La cui storia non si può archiviare nella polvere e su cui storici, analisti e giornalisti continuamente ritornano. Il Pci di Enrico Berlinguer, ad esempio, troppo frettolosamente rimosso da chi a quel partito ha cambiato nome buttando via il bambino con l’acqua sporca. Luca Telese ripercorre quella storia mettendo insieme popolo e leader, uomini con le loro vicende private, che sono però uno spaccato dell’Italia del dopoguerra, in un libro in uscita il 19 maggio, “La scorta di Enrico. Berlinguer e i suoi uomini: una storia di popolo”, Solferino. Il centro è il segretario del Pci nel racconto di chi lo seguiva in ogni ora del giorno. E furono i giorni in cui il Paese viveva tragedie e resurrezioni incredibili, fino alla morte di Berlinguer, a soli 62 anni (il 25 maggio di quest’anno ne avrebbe compiuti 100), un ictus durante un comizio a Padova per le elezioni europee del giugno 1984. Morì l’11 di quel mese.

 

La forma diretta del racconto imprime una enorme carica identitaria. Vite semplici con scelte decisive quelle di Alberto Menichelli, Lauro Righi, Dante Franceschini, Pietro Alessandrelli, Torquato “Otto” Grassi, Alberto Marani e Roberto Bertuzzi, seguendo l’ordine per età. Chi scelse la lotta partigiana, chi quella sindacale, chi scelse il Pci, prima ancora di arrivare al partito, per lavorare. Perché era così per migliaia di militanti in quegli anni (il Pci aveva i suoi uomini di scorta) e Telese spiega che non si trattava di fede, ma di idee e che tutti erano dentro il mutamento del Paese, a cui il Pci contribuiva pur stando all’opposizione. Emerge la singolare vicenda del più forte partito comunista d’Occidente considerato antisistema fino all’altro ieri che ha, al contrario, rappresentato una potente forza politica di cambiamento, non rivoluzionaria, i cui legami con il Pcus hanno costituito un freno per decenni alla democrazia compiuta in Italia, ma che non hanno scalfito la capacità di essere una forza politica del tutto originale. E Berlinguer, nel racconto di Telese e anche di molti storici prima di lui, da questo punto di vista è stato il leader più radicale, fino alla fine, anche se una pubblicistica prevalente lo descrive negli ultimi anni come arroccato e fuori dalla modernità.

Telese rovescia completamente questa lettura, anche se dimentica qualche dettaglio. A partire dal referendum sul divorzio, 12 maggio 1974, passato agli atti come una delle più significative vittorie politiche del Partito radicale di Marco Pannella. Quando fu votata la legge – ricorda Telese- i radicali non erano nemmeno in Parlamento. Il giornalista (tra l’altro imparentato con la famiglia Berlinguer per averne sposato una delle figlie, ma questo resta solo un dato privato) riporta l’appello agli elettori di Berlinguer in favore del divorzio letto in tv, architrave dell’interpèretazione in chiave moderna dell’ultima fase del segretario del Pci: “Perché privarci di questo diritto civile? Ricordiamoci sempre che quando viene negato o compromesso un qualsiasi diritto di libertà, quando si compie un atto di intolleranza e sopraffazione, si apre la strada ad altre prepotenze, a insidie e a minacce contro altri diritti civili, contro altre libertà: diritti e libertà sindacali, di pensiero, di informazione e di stampa, di associazione – diceva Berlinguer-. Cresconi i pericoli per l’insieme delle nostre istituzioni. Ecco dunque i motivi per i quali il Partito comunista invita i suoi iscritti ed elettori, invita i lavoratori e i cittadini di ogni ceto sociale e di ogni fede politica e religiosa, tutti gli italiani che amano la libertà a votare No il 12 maggio”. Quasi nel solco di questo discorso sembrerebbe l’Enrico Letta di oggi sul ddl Zan, accanto a tanti compagni di partito molto più tremebondi. Il Pci non fece una guerra di religione e difese l’unità della famiglia, ma portava il discorso sul piano dei diritti civili, dove, certo, i Radicali erano più avanti, ma non avrebbero mai potuto vincere senza il Pci.

Telese ha fatto uno sforzo enorme di raccordare storia e racconto senza tralasciare l’una e l’altro. Perché segue gli angeli custodi di Berlinguer (di cui uno, Alberto Menichelli, l’autista di Enrico, raccontò quasi tutto nel libro, “L’autista di Berlinguer”, Aliberti, scritto insieme a Valentina Brinis) dagli Anni Quaranta (ma anche le loro vicende familiari precedenti, durante il fascismo, i no dei genitori alla tessera del fascio e altri bivi dolorosi) al 13 giugno 1984, giorno dei funerali di Berlinguer in piazza San Giovanni a Roma. C’è tutto della storia del nostro Paese, con le scelte e le opzioni decisive anche degli uomini della scorta nei momenti chiave della storia del nostro Paese: dal fallito Golpe Borghese, a piazza Fontana, al terrorismo, al rapimento Moro, l’attentato a Togliatti. Il clima del ’68, il ’77, la marcia dei quarantamila della Fiat e di come, in ogni caso, il Pci fosse al centro e che appare più monolitico con gli occhi del dopo più di quanto in realtà fosse. Non quello di Berlinguer che ancora oggi, si rassegnino coloro che nel Pd lo hanno archiviato con due righe in un libro, evoca e viene studiato. In questo, per esempio, ci sono le scosse, gli strappi compiuti dal segretario del Pci con l’Urss. Quando non firmò un documento voluto da Mosca sull’invasione di Praga (allora non era segretario), quando scelse l’ombrello della Nato (come cambia la storia), quando, dopo il golpe di Pinochet in Cile, l’11 settembre 1973, elabora con tre articoli scritti su Rinascita, il settimanale politico e culturale del Pci, la strategia del compromesso storico. Telese rovescia anche l’interpretazione della famosa intervista a Scalfari sulla questione morale, vista da molti dentro e fuori il partito come l’ultimo arrocco del segretario Pci. Allora le interviste non erano un buco in pagina da riempire e quel 28 luglio 1981 restò nella storia del giornalismo e del Paese. Telese vede in quell’intervista squadernati temi che sono ancora al centro del dibattito politico: ambiente, pace, movimenti. “Sarebbe difficile immaginare un dialogo diacronico fra Greta Thunberg e Arnaldo Forlani o Bettino Craxi – scrive il giornalista-. Mentre invece molti dei temi del dibattito ecologico del terzo millennio fanno parte, quasi in modo preponderante, dell’elaborazione e dei discorsi dell’ultimo Berlinguer”.

Al libro contribuiscono anche Bianca e Laura Berlinguer nel ricordo di come la scorta fosse anche famiglia e nei frammenti emotivi a ritroso sul padre. Telese, che ho conosciuto venti anni fa stroncandogli un libro troppo apologetico, ha tenuto fede, invece, alle premesse: “Non c’è apologia, e nemmeno agiografia in questo racconto: solo un’asciutta e preziosa esattezza, da cui la normalità di quella classe dirigente, rispetto alla irresponsabile follia di quella presente, sembra davvero un bene rifugio. Quello lanciato dalla scorta di Berlinguer non è il sospiro nostalgico per un passato che non tornerà mai: è il seme di una storia che oggi può far nascere nuovi frutti con il suo esempio. Una, dieci, mille scelte di vita”. E’ il suo libro migliore.